(di Chiara Pazzaglia)
Mentre scriviamo, in Emilia-Romagna si accingono ad essere vaccinati contro il Covid-19 gli over 40. È uno dei passi di avvicinamento alla piena immunizzazione della popolazione, dopo mesi di attenzione a categorie particolarmente esposte a rischio, come i sanitari, gli anziani, i fragili. E mentre il 96% di medici e infermieri risulta vaccinato (fonte: Ordine dei Medici), la strada è stata decisamente più in salita per gli anziani più fragili e per i caregivers. Infatti, le ultime vaccinazioni a domicilio degli over 80 in lista d’attesa si sono svolte a metà maggio, quando ormai anche gli over 50 in perfetta salute avevano avuto accesso alle prenotazioni. Paradossalmente, anche i familiari che assistono persone con disabilità si sono dovuti mettere in fila con tutti gli altri. Questi sono stati affidati ai Medici di base, che, pure, hanno spesso manifestato difficoltà a seguire la tabella di marcia vaccinale, vuoi per mancanza di dosi di vaccino, vuoi per oggettivo overbooking e carenza di coordinamento.
I caregivers in Emilia-Romagna
Secondo l'ISTAT in Italia i caregiver sono oltre 7 milioni. Quelli che svolgono questo compito per almeno 20 ore settimanali sono più di 2 milioni, di cui 120 mila in Emilia-Romagna. Questa è la prima regione in Italia ad aver riconosciuto e valorizzato, con la legge regionale 2/14, il ruolo del caregiver familiare. Dopo l’approvazione delle sue linee attuative e il piano sociale e sanitario regionale, con la DGR n. 2318/2019 si è dato il via ad un piano concreto di misure e risorse economiche per azioni di informazione, orientamento, prevenzione ai rischi di salute e sollievo al caregiver e sostegno alla domiciliarità. Il Comune di Bologna, assieme a CTSS, ha stanziato oltre un milione di euro per un progetto sperimentale: un budget che non verrà erogato direttamente, ma in servizi. L’accordo è stato firmato con i sindacati confederali a febbraio del 2020, ma la pandemia ha rallentato la realizzazione di esso. Questo milione di euro si aggiunge ai sei stanziati dalla Regione nel 2019, che sono però gestiti direttamente dalle Aziende Sanitarie e di cui un milione spetta all’Area Metropolitana bolognese. Per la prima volta, dunque, è un Comune a mettere a bilancio una spesa specifica, dopo aver consultato sindacati e Associazioni. Questi fondi saranno investiti in un servizio telefonico e di consulenza dedicati, per assicurare ascolto, fornire consigli e offrire un primo orientamento alle possibilità che il sistema pubblico e privato offrono, per loro e per i loro assistiti. Poi, si penserà al trasporto e ad altri servizi. Manca, infatti, ad oggi un coordinamento tra le opportunità previste, ancora divise tra Servizi sociali territoriali, Azienda Sanitaria, Medici di medicina generale, Quartieri, Comune, Asp, Acer… a seconda di cosa serve al caregiver e al suo assistito, è piuttosto complesso destreggiarsi tra il ginepraio di Enti preposti ad ogni singolo tassello. A fronte dei diritti riconosciuti, l’esigibilità di essi è altra storia e, come è ovvio, chi è già gravato dall’assistenza materiale fatica a trovare tempo ed energie per comprendere come ottenere ciò di cui ha diritto. Questo sembra molto significativo anche alla luce della concorrenza privata che si sta sviluppando su questo argomento. È recentissima la notizia dell’approdo a Bologna di Ugo, l’App nata da un contest di start-up finanziata dal Monte dei Paschi di Siena, che si presenta un po’ come un Uber del caregiver e del cittadino anziano o disabile. 15 euro per una telefonata di un’ora scopo compagnia, pacchetti per circa 800 euro di spesa per l’accompagnamento a 5 sedute di chemioterapia, al lavoro dopo un infortunio, a visite mediche, con mezzo dell’assistito. Un’invasione preoccupante nel mondo del volontariato, un’entrata a gamba tesa che ricorda con prepotenza le carenze del welfare state, ma anche un ennesimo tassello della gig-economy, cui prestare attenzione particolare, soprattutto nell’ottica della contrattualizzazione dei lavoratori. Dopo il cibo a domicilio, dunque, si fa strada il caregiver a domicilio: eticamente è lecito avere delle riserve. Ecco perché è particolarmente importante che questo nuovo progetto del Comune sappia leggere con attenzione i bisogni e proporre soluzioni adeguate, anche nell’ottica di un utilizzo più oculato di quanto c’è già a disposizione e che, talvolta, resta inutilizzato, o viene pensato “a scomparti”, mentre potrebbe essere messo al servizio dei caregivers.
Conoscere ed utilizzare i servizi socio-sanitari
Un obiettivo da raggiungere è anche quello di ampliare la platea dei beneficiari dei servizi e di facilitarne e semplificarne ulteriormente l’accesso. La tempestività della risposta a problematiche che uniscono sia i servizi sociali, sia quelli socio-sanitari, è determinante per il benessere dell’anziano o disabile e di chi lo assiste. Anche le Case della Salute saranno ingranaggi importanti: questi spazi si prestano sia ad ospitare le attività di formazione, promozione della salute e socializzazione, caratterizzandosi come spazi di “comunità”, sia a divenire punti di riferimento importanti per servizi a tutto tondo, creando una comunità professionale di figure diverse che si integrano, scongiurando così il rischio di diventare grandi poliambulatori e poco più. Lo scopo finale sembra essere, dunque, la semplificazione. D’altra parte, sono spesso le incombenze più banali e quotidiane ad incidere per la parte più ampia nella vita e nel benessere delle persone fragili. È in seno alla Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria (CTSS) metropolitana di Bologna che si terranno i tavoli di confronto con diversi attori del territorio, che occorre unire in una visione di futuro e pragmatismo sul presente. La sfida lanciata dal Covid-19, infatti, non permette di tralasciare nessun aspetto: qualità, equità e sostenibilità del sistema devono fare i conti con i bisogni concreti di cittadini già provati dalla propria condizione socio-sanitaria, aggravata ora dalla pandemia e dai suoi esiti. L’eccellenza del nostro welfare e della nostra sanità cercano ora conferma anche per il futuro, dunque, nell’operato di questo organismo strategico. Un pensiero va dedicato ai genitori dei minori con disabilità. In particolare, le Associazioni che riuniscono i familiari di ragazzi autistici, ritirati sociali o con altre patologie psichiche hanno gridato a gran voce, in questi mesi, le gravi conseguenze del Covid-19 sui loro figli. Non parliamo di conseguenze sanitarie legate al contagio, ma dovute alla chiusura delle scuole, delle attività riabilitative, dei centri dedicati alle terapie necessarie e all’iniziale impossibilità di ottenere educatori a domicilio. Questa situazione ha messo a dura prova non solo la salute dei diretti interessati, ma anche di genitori e fratelli, che si sono trovati a gestire una assistenza molto gravosa, in assenza delle cure necessarie e con gravi ripercussioni anche sulla spesa economica privata delle famiglie, già segnate dalla disabilità di un giovane membro.
La prevenzione alla salute
Il Covid-19 ha altresì distolto l’attenzione dal tema della prevenzione, su cui il Terzo Settore si impegna da anni. L’Ospedale Humanitas di Miano fu tra i primi a denunciare, già nell’ottobre 2020, il crollo delle diagnosi di tumore dovute alla pandemia. Il Covid, infatti, ha reso molto difficile la vita dei malati di tumore, a partire dalla diagnosi, per arrivare agli interventi, terapie e follow up. Anche ANT, subito dopo, si è unita al coro, insieme ad Airc. Le Associazioni, che hanno fatto del tema preventivo il fiore all’occhiello, da tempo denunciano da un lato le difficoltà dei malati nel trovare assistenza, dall’altro quella di giungere ad una tempestiva diagnosi, aspetto che fa la differenza tra la vita e la morte, per le persone affette da alcune tipologie di tumore. La diminuzione di nuove diagnosi, associata all’aumento della mortalità, è il campanello di allarme che ci riguarda tutti e che rischia di inficiare gli ottimi risultati ottenuti sinora nel contrasto alle malattie oncologiche. Non è tutto: le limitazioni cui siamo stati sottoposti, con un aumento del tempo passato tra le mura domestiche, ha causato un aumento generalizzato del peso e una diminuzione dell’attività fisica. Questa sedentarietà è il principale fattore di rischio per le patologie cardiovascolari, killer numero uno degli italiani. Negli Usa, il New York Times riporta che il 76% delle persone ha preso fino a 8 chili durante il primo lockdown, il 63% di queste ha oggi come priorità la perdita di chili in eccesso.
Anche in Italia, secondo alcuni dati diffusi da Coldiretti a ottobre scorso, il 44% è aumentato di peso a causa del Covid, tra lo Smart working, le restrizioni imposte dal lockdown e la maggiore tendenza a dedicarsi alla cucina. La situazione sembra peggiorare per le persone obese, soprattutto per quelle collocate in Smart working e in cassa integrazione, che nel 54% dei casi ha registrato un aumento medio di peso di 4 chilogrammi. Gli italiani con obesità sono circa sei milioni e quelli in sovrappeso 25 milioni e, come nel resto del mondo, è corsa alle app per seguire diete e protocolli fitness. Secondo Stock Apps, il mercato delle App per il fitness e il benessere crescerà del 48,44% ogni anno per i prossimi quattro anni, arrivando 5,72 miliardi di valore nel 2024. Ma ciò che serve, primariamente ai nostri bambini e ragazzi, non sono le App fitness, ma la possibilità di tornare a fare sport. Si auspica per fine maggio la riapertura delle palestre e delle piscine, ma il settore sportivo è stato uno di quelli più duramente colpiti dalla pandemia. Riaperte le attività dopo il primo lockdown, sono state costrette a seguire protocolli di sicurezza severissimi, per poi essere richiuse alla fine del 2020 e non ancora riaperte a maggio 2021, nonostante non sia mai stata dimostrata una reale incidenza sul contagio. Per contro, è stato dimostrato, invece, come lo sport, insieme a una corretta alimentazione, sia la prima forma di prevenzione per la salute di tutte le età. Venendo meno questi due pilastri del benessere, ne hanno fortemente risentito le condizioni psicofisiche di gran parte degli italiani che, ora, sono alle prese non solo con gli esiti della pandemia in sé, ma anche con questi “effetti collaterali” che, per anni, peseranno fortemente sulla salute generale. Insomma, mentre la campagna vaccinale avanza, portando con sé promesse e speranze, è importante non perdere di vista il benessere generale dei cittadini: non si muore di solo Covid-19, purtroppo, ed è diritto di tutti ambire alla più alta qualità di vita possibile, nelle condizioni date.
Bologna maggio 2021
REALIZZATO CON FONDI DEL MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO. RIPARTO 2020
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